La ceramica sarda non è solo il prodotto di mani laboriose che sanno creare, la ceramica sarda è figlia di passione e bontà. Sopravvissuta e pervenuta fino a noi attraverso il cuore e il sacrificio degli artigiani, abili oratori dalle poche parole ma dalle grandi gesta. Il filo rosso che collega la ceramica sarda fino a noi oggi rimane misterioso e pieno di ombre. Un’arte dimenticata in documenti che non ricordano, ma che vive giorno dopo giorno sempre più splendente dagli albori della civiltà.
Ceramica dalla Sardegna
La Sardegna, una terra madre e donna, la quale offre numerosi terreni argillosi. Terreni sacri, per un’ arte sacra. L’argilla Rossa, il Caolino e l’argilla Grigia. Un’argilla particolare per una lavorazione particolare. La premura della sua cottura, dalla lavorazione al tornio fino alle iconiche decorazioni.
Dove i documenti non arrivano
Una nebbia fitta ricopre la storia della Sardegna, e una gelida sensazione di mistero si infittisce ogni qual volta si cerca di far luce sulla civiltà che popolava questa terra, la loro cultura, la loro economia…la loro storia.
La ceramica sarda vede i suoi albori nell’età nuragica, quando in risposta alle esigenze di allevamento e agricoltura si necessitava di vasellame. Più l’agricoltura e l’allevamento si sviluppavano più la ceramica sarda acquisiva notorietà e importanza. L’arte e la sua lavorazione divenivano sempre più “degne” e qualitativamente eccellenti. Affinando tecniche di lavorazione, decorazioni e simboli.
La crescita e lo sviluppo in concomitanza con l’agricoltura ci serve proprio per capire il simbolismo che ruota attorno alla ceramica sarda, introducendo un emblematico segno che agli occhi di molti potrebbe essere superficiale e esclusivamente decorativo.
Disponibile anche in preordine
Giunta nel 534 d.C per mezzo dei bizantini la Pavoncella sarda viene associata all’Araba Fenice. Leggenda narra che anch’essa fosse rinata dalle ceneri. La Pavoncella è uno dei simboli più emblematici e più affascinanti della tradizione sarda.
Utilizzata spesso proprio come decorazione nell’artigianato sardo e nella ceramica sarda questa vuole significare la fertilità, invocando la grazia della natura con la salute dei greggi, piogge abbondanti e raccolti ricchi.
I primi documenti che testimoniano di una ceramica sarda risalgono al 1691 nello statuto del premio dei figuli di Oristano, nei quali si evince l’esistenza di una corporazione atta alla produzione di utensili rudi, legati a canoni e forme prestabilite per un consumo prettamente popolare.
L’esistenza di questi canoni e di queste forme “inscindibili” contribuì in gran parte alla creazione di un grande divario tra la ceramica sarda e quella della penisola italica, la quale eccelleva sempre più, con forme nuove e in continua evoluzione!
La ceramica sarda vide assottigliarsi questo divario con Alberto Della Marmora (conosciuto meglio come Generale La Marmora) solamente nell’ 800 quando il generale torinese concesse a dei vasai oristanesi la creazione di nuove forme e nuovi pezzi in ceramica.
Fu così che all’alba del 1900 la produzione si affacciò alla Nazione con un radicale cambio di rotta e una nuova produzione: pezzi unici con lo scopo prettamente artistico. La tradizione non veniva accantonata, bensì modellata e interpretata a piacimento dell’artista.
Grandi nomi si susseguirono nella “nazionalizzazione“ della ceramica sarda, non possiamo non citare: Melkiorre e Federico Melis (Bosa), Francesco Ciusa (Nuoro), Ubaldo Badas (Cagliari), Salvatore Fancello (Drogali).
E’ a partire dal 1900 che la ceramica sarda comincia a splendere in tutta Italia, riscuotendo prestigio e facoltosi premi, come per esempio la vittoria da parte di Francesco Ciusa della facoltosa medaglia d’oro alla biennale d’Arte decorativa di Monza nel 1924. Ma non solo! Artisti di spessore aprono scuole, industrie, collaborazioni in tutta la Sardegna.
Le città della ceramica sarda.
Lo sviluppo della ceramica sarda ebbe un incremento in numerosi centri abitati in Sardegna. Paesi che spaziano dal Nord al Sud della regione. Maggiore rilevanza la ebbero i borghi di Siniscola, Sassari, Drogali e tutto il Sud dell’isola, con la zona di Cagliari e Assemini.
A seguito di questo sviluppo possiamo persino capire il luogo di produzione in base alla colorazione che contraddistingue la ceramica: nei centri di Sinsicola, Assemini, Oristano, Drogali si ha una coloritura tendente al verde e al giallo, mentre Cagliari, Cabras e Sassari si distinguono per le antiche maioliche bianche.
Ceramica artigiana
L’arte del creare si addice alla ceramica sarda come un abito sartoriale, il dar vita a un qualcosa dalle ceneri, dal vuoto. Non a caso quella della ceramica dalla Sardegna è una lavorazione che da centinaia e centinaia di anni ripercorre sempre gli stessi passi. Dalla scelta scrupolosa dell’argilla fino al rito della cottura e dell’apertura dei forni. Forni a legna che in antichità venivano aperti con dei riti di scongiuro e l’auspicio di una buona riuscita del lavoro.
Successivamente alla scelta dell’argilla si anno due differenti lavorazioni: a stampo e a tornio. Quest’ultima è una lavorazione elegante e emblematica che conferisce alla materia una forma e una delicatezza unica, con una difficoltà nell’esecuzione unica nel suo genere. Data una forma la lavorazione della ceramica sarda si infittisce in una prima decorazione a rilievo (se necessaria), per poi essere posta a essiccare. Una volta essiccata e ottenuta la preziosa terracotta il processo culmina con la decorazione e l’abbellimento.
Un tripudio di colori, polveri, cristalli e smalti. L’ultima e decisiva cottura chiude un ciclo, una lavorazione delicata e precisa che battezza il lavoro rendendolo eternamente prezioso.
L’arte del creare finisce con il rumore sordo di una serratura che chiude una piccola porta. Il lento spegnersi delle luci che illuminano una piccola bottega. L’arte della ceramica sarda si è compiuta, l’arte è tramandata, l’arte e la tradizione non tramonteranno mai.